A dieci anni dalla rivolta libica

Il 15 febbraio del 2011 viene arrestato da esponenti del regime gheddafiano Fathi Turbil, un giovane avvocato libico, difensore delle vittime di Abu Selim, il carcere tristemente noto per il massacro di oltre 1.200 detenuti. Subito dopo a Bengasi si verificano scontri fra manifestanti e forze di polizia. È il 17 febbraio, la “giornata della collera”. In poco tempo le proteste si allargano alla capitale, Tripoli, dove i contestatori danno alle fiamme edifici pubblici. Inizia così la rivolta libica.

Seppure sull’onda delle cosiddette “primavere arabe”, che tra il 2010 e il 2011 avevano investito il Nord Africa, nella Jamahiriya le proteste assumono fin dall’inizio una connotazione peculiare rispetto a quelle di piazza Tahrir in Egitto o di Avenue Bourguiba in Tunisia. Da questo punto di vista sarebbe un errore interpretare l’insurrezione libica come una mera contingenza di quanto stava accadendo negli Stati confinanti. La Libia rappresenta una sorta di “eccezione regionale” sia per il modo in cui le rivolte hanno avuto inizio sia per come si sono evolute sia per le loro conseguenze. L’analisi di queste “anomalie” è indispensabile per comprendere le difficoltà della Libia odierna.

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