Con o senza il “fantasma” di Bouteflika, l’Algeria resta sull’orlo del baratro

L’ex presidente algerino Abdelaziz Bouteflika è morto ieri all’età di 84 anni. Lo riporta la tv di Stato algerina, citando un comunicato della presidenza della Repubblica. In molti si chiedevano, vista la sua lunga assenza dalle scene, se fosse davvero ancora vivo. In qualche modo evidentemente lo era.

Veterano della guerra per l’indipendenza dell’Algeria, l’ex presidente ha governato il Paese nordafricano per due decenni, ma negli ultimi anni della sua vita, a causa delle sue precarie condizioni di salute, ha rassegnato le dimissioni ad aprile 2019 a seguito delle proteste contro la sua candidatura al quinto mandato presidenziale. Dopo settimane di proteste e colpi di scena si chiudeva così uno dei capitoli più lunghi della travagliata storia algerina: l’era di Abdelaziz Bouteflika. 

Il “colpo di grazia” al vecchio e malato presidente era stato inferto da Ahmed Gaid Salah. Il capo di Stato maggiore, nonché Ministro della difesa, aveva dichiarato che l’ex Presidente non era più in grado di governare a causa delle sue condizioni di salute e per questo aveva chiesto di applicare l’articolo 102 della Costituzione, secondo cui, quando il presidente della Repubblica è incapace di svolgere le proprie funzioni, il Consiglio costituzionale si deve riunire per verificarne l’infermità. Se trascorsi 45 giorni il Consiglio costituzionale continuerà a constatare lo stato di infermità potranno essere indette nuove elezioni. La netta presa di posizione dei “generali” era arrivata dopo il passo indietro fatto pochi giorni prima dallo stesso Presidente – o, visto il suo stato di salute, sarebbe meglio dire “da chi per lui” – che aveva dichiarato di voler rinunciare a concorrere per il quinto mandato, rinviando le elezioni ma restando, de facto, in carica fino al loro svolgimento. In linea teorica, tutto è avvenuto secondo quanto previsto dalla Costituzione ma, nei fatti, aveva tutta l’aria di essere una sorta di golpe di palazzo o, per dirla in altri termini, un “golpe medicale” così come accadde al presidente tunisino Habib Bourghiba, esautorato negli anni Ottanta da Ben Alì, che fece compilare da sette medici un certificato che attestava l’incapacità del vecchio leader di svolgere le proprie funzioni a causa delle precarie condizioni di salute. Al di là degli aneddoti è evidente che l’esercito algerino ha tolto la maschera e ha dimostrato di essere il vero potere forte del Paese. “Boutef adieu”, dicevano, allora, entusiasti, molti dei manifesti che riempivano le piazze algerine.

Tuttavia, le elezioni presidenziali, vinte da Abdelmadjid Tebboune, hanno visto una bassa affluenza alle urne , solo il  39,3% degli aventi diritto, e sono state precedute da proteste da parte del movimento popolare Hirak, che per lungo tempo ha manifestato in modo pacifico ogni venerdì per chiedere il rinnovo completo delle cariche ai vertici del Paese e riforme democratiche. Il nuovo Presidente algerino ha ripetutamente affermato di voler soddisfare le richieste dei movimenti di protesta procedendo con modifiche alla costituzione e ha anche promesso di voler migliorare gli standard di vita della popolazione, costruendo più scuole e migliori infrastrutture e servizi di trasporto in tutto il Paese.

Le condizioni sociali ed economiche dell’Algeria sembrano però peggiorate da febbraio 2019. In molti hanno più volte mostrato crescenti preoccupazioni in merito all’alta disoccupazione e alla possibilità di bancarotta. Il declino economico ha alimentato la rabbia dei manifestanti, che danno la colpa all’élite dominante per lo spreco delle ricchezze derivanti dalle risorse energetiche del Paese e per gli elevati livelli di corruzione. “Voi avete saccheggiato la ricchezza del Paese, ladri”, hanno cantato i manifestanti di Algeri nelle varie proteste di piazza. Il sistema politico-militare algerino, il cosiddetto “povoir”, rappresenta una sorta di struttura “genetica” del potere, considerato fortemente corrotto e interessato al mantenimento del proprio status quo, nonostante il tracollo economico che il Paese oggi si trova ad affrontare, aggravato ulteriormente, a partire dal 2020, dal contesto pandemico.

Oggi l’Algeria del nuovo presidente Abdelmadjid Tebboune è ancora oggetto di proteste. Il preoccupante indice di disoccupazione, il taglio dell’export del 20%, e un vertiginoso ribasso del prezzo del petrolio denotano le falle di un sistema che non consente l’elargizione dei sussidi necessari per la popolazione civile poiché troppo dipendente dagli introiti derivanti dagli idrocarburi. La ripresa, anche a causa del Covid, appare difficile e lontana. E così l’Algeria che aveva retto alle rivolte arabe, oggi rischia di sprofondare. Con o senza Bouteflika , dunque, l’Algeria oggi è un Paese che vive un capitolo difficile della sua storia, una storia che il vecchio e malandato leader, chissà, osserverà da ben altri luoghi e non da un letto di ospedale.

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